Inventato da Pierre Cordier (www.pierrecordier.com) durante la leva militare, nella seconda metà degli anni Cinquanta del secolo scorso, il chimigramma sostituisce la carta fotosensibile alla tela, la chimica al pigmento, divenendo un ibrido fra fotografia e pittura.

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© Pierre Cordier

Il procedimento è piuttosto semplice: non serve una camera oscura, ma solo qualche bacinella e poco altro. Consiste nel dipingere, in piena luce, su un foglio fotografico con un pennello privo di parti metalliche, imbevuto di sviluppo, darà effetti che ricordano vagamente un acquerello monocromatico.
Uno sviluppo morbido, ad esempio maggiormente diluito, produrrà neri meno densi, e l’azione sarà più lenta. Un rivelatore più duro, viceversa, agirà più rapidamente, raggiungendo, nel contempo, densità più alte.
Il procedimento termina come di consueto con l’arresto e il fissaggio, che saranno mantenuti sempre freschi.
La carta può essere precedentemente inumidita, a seconda degli effetti desiderati, e il pennello sostituito con sagome di carta assorbente, cotton fioc, o altro. Volendo lasciare bianche alcune parti della stampa, basterà fissarle prima di iniziare lo sviluppo.

SM11Chimigramma
© Sergio Marcelli

Come di prassi, a lavaggio terminato, sarà possibile intonare o virare l’immagine, anche solo localmente, agendo a pennello. Un bagno di rialogenazione, permetterà invece di indebolirla o sbiancarla, e anche in questo caso si può lavorare a pennello. Conoscendo un po’ di chimica fotografica, le vie di sperimentazione crescono poi esponenzialmente. Anche le stesse contaminazioni fra i diversi bagni possono dare risultati apprezzabili, sicché spesso le tecniche possono partire da cosiddetti errori, tanto discussi nei manuali (attenzione però a rispettare le norme di sicurezza nell’utilizzo dei chimici).