È noto come alcuni fotografi preferiscano scattare usando obiettivi a focale fissa, con qualche esempio celebre, primo fra tutti Henri Cartier-Bresson ed il suo inseparabile 50mm.

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© Henri Cartier-Bresson

Al di là del fatto che la focale fissa tende ad essere più incisiva e più luminosa di uno zoom, vi sono altri aspetti formali che è bene conoscere.
Per normale si intende un obiettivo la cui focale corrisponda alla diagonale del fotogramma (negativo o sensore), ovvero tale da abbracciare un campo di circa 50°, con un effetto prospettico simile a quello della vista. Questi rapporti mutano con il cambiare della distanza focale, sicché, per comporre la stessa inquadratura, ad esempio un primo piano, la macchina da presa andrà posizionata in punti differenti a seconda dell’ottica che si utilizza. Ma questo significa anche comporre quadri differenti, dove, seppure gli elementi siano gli stessi, cambia la prospettiva da cui li si osserva.

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© Henri Cartier-Bresson

Nei manuali si insegna che nel ritratto è bene non avvicinarsi troppo al soggetto, sia per evitare le distorsioni prospettiche, che per mantenere una certa distanza fisica. La focale può così essere determinata a tavolino, come certamente avviene in ambito commerciale, ma spostando l’attenzione sulla questione stilistica e non tecnica, la sua scelta va inevitabilmente a confrontarsi con la sensibilità estetica del fotografo. Il rapporto fra soggetto e punto di ripresa, nello studio dell’inquadratura, passa inevitabilmente attraverso la focale, ma ribaltando il concetto, è il rapporto fra soggetto e focale ad entrare in relazione con il punto di ripresa, e cioè con il punto di vista del fotografo. Questo non accade spontaneamente se si lavora con uno zoom, tanto che la scelta del punto dove si sistema la macchina diventa quasi secondaria. E poiché questo rappresenta idealmente il punto di vista del fotografo, il discorso è tutt’altro che banale.