L’8 febbraio 1993, il fotografo Enzo Nocera e il suo assistente Aldo Sorriso sono morti in un tragico incidente stradale. Autore di particolare grazia, Enzo Nocera ha offerto alla fotografia italiana una fantastica propensione al ritratto in studio.

Enzo Nocera - Fortunato Sabino Falegname (1981)
Enzo Nocera – Fortunato Sabino Falegname (da “Gente di Brera”, 1981).

Accompagnato dall’assistente Aldo Sorriso, di Licata, Enzo Nocera stava viaggiando per assolvere un incarico professionale per la rivista Dove. Un banco di nebbia nel tratto tra Parma e Piacenza -all’altezza di Fiorenzuola d’Arda– dell’Autostrada A1 (Milano-Napoli), altrimenti identificata come Autostrada del Sole (assente in quella tragica mattina di febbraio, tra le nove e le dieci), ha provocato un colossale inferno di automobili, con un drammatico bilancio di cinque morti immediate e cento feriti.

Tra tanto altro, l’eccellenza fotografica di Enzo Nocera si è manifestata nel ritratto posato, nel ritratto in studio. Tante e significativi i temi affrontati e svolti, tra i quali ci preme ricordare, sopra tutti, quello della maternità, scandito dalle sue Madri Ma Donne, della metà degli anni Ottanta, e la straordinaria galleria di personaggi del quartiere milanese di Brera, che si snoda nelle strade attorno la celeberrima Pinacoteca e Accademia di Belle Arti, dove peraltro lui viveva, che si è allungato nel tempo, dalla fine degli anni Settanta.

Il nostro ricordo personale di quei giorni torna al venerdì immediatamente precedente, cinque febbraio, quando Enzo Nocera ci portò in studio un oggetto da collocare nella nostra particolare collezione (raccolta) di oggetti inerenti la fotografia, ispirati ai suoi strumenti e termini. Non era riuscito a parcheggiare l’automobile, quindi fu un incontro lampo. Noi sulla porta dello studio, lui un piede nel cortile e le braccia protese. «Ora devo scappare», disse. «Ci sentiamo con calma, la prossima settimana». Non ci siamo più sentiti, né visti. Oltre i ricordi del cuore, tra i quali le cene conviviali a casa di Emilio Frisia, ci rimane quel porta carta igienica in ceramica, a forma di rullino 35mm. E il suo biglietto di accompagnamento, scritto in milanese: «Te ghe l’è?»; ovverosia, ce l’hai?