Eccezionale fotografo ceco, Josef Sudek è nato il 17 marzo 1896, nella città industriale di Kolin, sul fiume Labe, in Boemia (quando la Cecoslovacchia, oggi Repubblica ceca, esisteva solo nella fantasia di alcuni attivisti visionari).

Josef Sudek - Morning Trolley (Praga, 1924)
Josef Sudek – Morning Trolley (Praga, 1924).

In un certo senso, il destino di Josef Sudek, uno dei più significativi autori del primo Novecento, è intrecciato con le vicende politiche di inizio secolo. Arruolato, nel 1915, nell’esercito austro-ungarico, fu assegnato al fronte italiano, sul quale, fu ferito al braccio destro; in origine nulla di grave, ma le precarie condizioni sanitarie delle trincee peggiorarono la situazione: tanto da causare l’amputazione.

Già vicino alla fotografia, alla quale fu iniziato da un compagno di lavoro, negli anni precedenti la Grande guerra, quando lavorò come apprendista rilegatore, Josef Sudek approfondisce le sue competenze durante la lunga degenza in un ospedale militare.

Josef Sudek - Vicar's Lane (Praga)
Josef Sudek – Vicar’s Lane (Praga).

Una volta dimesso, si è stabilito a Praga, dove la sua menomazione non gli offriva alcuna possibilità lavorativa. Causa-effetto: inizia a fotografare professionalmente, facendo altresì riferimento a un circolo amatoriale, dove conobbe Jaromir Funke, un giovane ben preparato che gli ha trasmesso teorie estetiche d’avanguardia. Nel 1922, Josef Sudek si iscrive alla Scuola di Arti Grafiche di Praga, per rafforzare la propria educazione formale in fotografia.

Josef Sudek - Cattedrale di San Vito (Praga, 1926-1927)
Josef Sudek – Cattedrale di San Vito (Praga, 1926-1927).

Subito si affermano due soggetti principali, che stanno alla base del suo luminoso percorso visuale successivo: i suoi ex compagni di ospedale e la ricostruzione della Cattedrale di San Vito a Praga, allora in corso. Nella serie dall’ospedale dei veterani, i suoi ex compagni di degenza sono rappresentati come sagome spettrali avvolti in nuvole di luce: anime perdute sospese nel Limbo. Mentre il suo studio sulla ricostruzione di San Vito, iniziato nel 1924, due anni prima di una crisi personale, e completato nel 1928, con la pubblicazione del suo primo libro, può essere inteso come metafora della sua lotta personale di ricostruzione esistenziale.

Josef Sudek - The Window of My Studio Spring in My Garden (1940-1954)
Josef Sudek – The Window of My Studio Spring in My Garden (1940-1954).

Dopo il 1926, risolti i propri turbamenti, Josef Sudek ha trovato il proprio stile personale ed ha cominciato ad affermare la propria autonomia d’artista. Con devozione e dedizione, ha rivolto la sua attenzione a Praga (anche in inquadratura panoramica), osservata in composizioni prive di persone, o con presenze soltanto finalizzate. Fotografia dopo fotografia, ha sottolineato sia la grandezza sia la modestia della splendida città. Tuttavia, e in conferma, bella come è effettivamente bella, nella visione e rappresentazione di Josef Sudek, Praga si offre come città vuota.

Josef Sudek - Strada di Praga (1928)
Josef Sudek – Strada di Praga (1928).

Analogamente, in coincidenza dell’assenza di figura umana nelle immagini “cittadine”, Josef Sudek ha personificato l’inanimato anche quando ha fotografato i boschi di Boemia e Moravia, abitati da “giganti dormienti”, come li definiva lui stesso: enormi alberi morti che sorvegliano il paesaggio come statue fuori dell’isola di Pasqua.

Si potrebbe affermare che Josef Sudek trovasse la propria identità, soprattutto espressiva, nascosto sotto il panno della sua macchina fotografica a lastre, con immancabile composizione su vetro smerigliato di compiacente intimità.

Josef Sudek - Senza titolo (1967)
Josef Sudek – Senza titolo (1967).

«Amo la vita degli oggetti», ha dichiarato in una intervista degli anni Cinquanta. «Quando i bambini vanno a letto, gli oggetti prendono vita. Mi piace raccontare storie sulla vita di oggetti inanimati». Infatti, ha dedicato infinite sessioni a fotografare gli oggetti quotidiani. Spesso ha identificato queste sue fotografie come “ricordi” di amici e conoscenti. Possiamo dirlo?: è come se il suo rapporto personale con gli oggetti inanimati, che ha fotografato con tanto amore, abbia sostituito la vera intimità con le persone. Dunque, la sua fotografia ha colmato il divario che sentiva tra sé e gli altri.