Il 26 gennaio 1879, è mancata Julia Margaret Cameron, personalità da tenere in considerazione per almeno due motivi: prima donna a inserirsi nella Storia della Fotografia, autrice di ritratti di John Frederick William Herschel, al quale dobbiamo molto.

Julia Margaret Cameron - Sir John Frederick William Herschel (1867)
Julia Margaret Cameron – Ritratto di sir John Frederick William Herschel (1867).

Cominciamo da questi: a sir John Frederick William Herschel, la fotografia deve soprattutto la scoperta che l’iposolfito di sodio scioglie i sali d’argento non colpiti dalla luce (1819, il fissaggio nasce prima della fotografia: è la folgorazione e l’impulso definitivo, che consente di fissare stabilmente le copie fotografiche, che dà una spinta agli sperimentatori). Ancora, dobbiamo a lui anche i termini fotografia, negativo e positivo.

Il termine fotografia è suggerito in una lettera del 28 febbraio 1839, indirizzata a William Henry Fox Talbot, e poi ufficializzato in una sua relazione alla Royal Society, di Londra (Note on the Art of Photography, or the application of the Chemical Rays of Light to the purposes of Pictorial Representation / Nota sull’arte della fotografia, o l’applicazione dei raggi chimici della luce ai fini della rappresentazione pittorica), il 14 marzo 1839. Fondendo le parole greche “phos” (luce) e “grapho” (scrittura), John Herschel unisce ciò che fino allora ciascuno aveva definito a modo proprio, stabilendo una casa comune, nella quale includere l’eliografia di Niépce, il dagherrotipo, i disegni fotogenici, i processi che sarebbero arrivati in seguito… l’acquisizione digitale di immagini.

Nel concreto della personalità della fotografa, ora. Con la sua fotografia, Julia Margaret Cameron ha tradotto l’intraducibile, trasformato l’arma della comunicazione in espressione, sovvertito le regole, quelle che si conoscono e anche quelle che non si conoscono, per ritrovare un piccolo pezzo di sé in altri occhi, in altri corpi, in corpi nuovi.

Il suo interesse fotografico nacque solo nel 1863, quando, quarantottenne, ebbe in dono dalla figlia maggiore Julia un apparecchio fotografico che fungesse da “anti-depressivo”. Scavando nelle numerose retrovisioni critiche, sentiamo voci di diverse bocche che sottolineano il suo stile… così vicino al pittorialismo pre-raffaellita. Scorrendo ancora, troviamo qualcosa di maggiormente intrigante, quel qualcosa che, personalmente, ci colpisce. Tutte queste voci, senza eccezione alcuna, quasi fossero un coro, parlano di quella che un tempo fu la critica più pungente indirizzata allo sguardo della fotografa: leggermente sfocato (non nel senso del “leggermente fuori fuoco”, del quale ha fatto bandiera Bob Capa).

Dai critici più severi, le sue fotografie sono state bollate negativamente per (come dire?!) “carenza tecnica”. Difatti, ciò che tutti notano, oltre la sfocatura, è il sistematico “maltrattamento” dei negativi, giunti a noi spesso sciupati da poca cura e cattiva conservazione. Altre voci, contemporanee, come quella di Giuliana Scimé -autorevole critica di spessore internazionale-, rivisitano quel “piccolo difetto” a favore del genio e dell’indubbio gusto compositivo della fotografa.

La stessa Julia Margaret Cameron si oppose alle critiche, con motivazioni alquanto originali per l’epoca, definendo il centro del proprio percorso fotografico: la riproduzione del reale così come appare alla nostra mente. Infatti, l’occhio e il cervello non danno uguale importanza a ciò che si presenta innanzi, come invece fa la fotografia: ma non la visione fisiologica, che sfuma i contorni a favore di ciò sul quale si mette a fuoco, si concentra l’attenzione.