Nadar è noto soprattutto per i ritratti: concentrato a rappresentare la psicologia dell’individuo, elimina dalla scenografia i tipici fondali dipinti, pone l’attenzione sull’illuminazione e scarta il ritocco del negativo, in uso al suo tempo.

Nadar
Nadar, Ernestine Nadar, 1900 circa.

Grande anticipatore, curiosamente apre lo studio per la prima mostra degli impressionisti. È il 1874: poco più di dieci anni dopo, il pittorialismo porta la fotografia al rango delle arti figurative. Ma allo stesso tempo, la lega ad un ruolo secondario. Una vera e propria emancipazione arriva solo con la straight photography:
«Affidatevi al vostro apparecchio, al vostro occhio, al vostro buon gusto, alla vostra conoscenza della composizione, considerate ogni variazione di colori, di luce e d’ombra, studiate linee, valori, divisioni degli spazi, aspettate pazientemente che la scena e il soggetto che vi siete proposti di raffigurare si riveli nel suo supremo momento di bellezza; in poche parole, componete l’immagine in modo tale che il negativo sia assolutamente perfetto», scrive Sadakichi Hartmann nel 1904.

Strand
Cinema nuovo, 25 febbraio del 1955.
Paul Strand, uno dei maggiori fotografi statunitensi fra i rappresentanti della fotografia diretta, firma, insieme a Zavattini, quello che viene considerato il primo foto-libro italiano: Un paese, edito da Einaudi nel 1955.

Alle stampe impastate del pittorialismo, attento a ricercare effetti pittorici, contrappone la nitidezza dei dettagli, capaci di mostrare ciò che l’occhio non riesce a discernere. Inizia forse da qui, la vera e propria scoperta di un linguaggio autonomo, quello della fotografia. Almeno finché non arriva il digitale e una questione di fondo: la post-produzione. Passaggio imprescindibile, non dovrebbe superare un certo limite, che però non è dato sapere. Sicché accade che in uno scatto di Steve McCurry, un cartello stradale, per un paradossale errore, si mischia col piede di un uomo, sullo sfondo di un via trafficata, rischiando di delegittimare la fotografia stessa, e il suo rapporto con il mondo reale, a conferma della tesi di Hartmann. E ciò non significa che non si possa correggere una foto, ma semplicemente che uno scatto dovrebbe già essere il più corretto possibile.