In passato si riteneva che la capacità di distinguere i dettagli dipendesse, oltre che dalla qualità dell’obiettivo, dalla finezza della grana. Questa può essere misurata dal potere risolutivo ricavato a partire dalla riproduzione di una mira ottica, e cioè un grafico composto di tante linee via via più sottili.
Oltre che dalla rapidità del film, la grana dipende anche dalle caratteristiche di sviluppo: in genere quelli finegranulari contengono un solvente dell’argento, con il risultato però che, assieme alla grana, si vanno a perdere anche i dettagli più minuti dell’immagine. Si è così notato come, paradossalmente, alcuni negativi con una grana più evidente, avessero maggior dettaglio. Va difatti osservato che, in una fotografia osservata da una certa distanza, la grana tende a scomparire, mentre assume rilievo l’incisività. Per questa ragione al potere risolutivo si è preferito sostituire la nitidezza, o acutanza, la quale dipende, oltre che dalle dimensioni della grana, da altri fattori quali, ad esempio, il microcontrasto. Questo indica il contrasto ai bordi, ovvero nelle zone di passaggio dalle parti più dense a quelle meno dense del negativo. Non a caso gli sviluppi ad alta acutanza, e cioè capaci di migliorare il microcontrasto, non appartengono alla famiglia dei finegranulari ma, anzi, danno una grana piuttosto evidente.
Curiosamente in digitale le cose stanno negli stessi termini, tanto che per correggere il rumore la prima cosa da fare è quella di ridurre la nitidezza, ad esempio durante l’elaborazione del file grezzo. Successivamente, se ciò non bastasse, si può ridurre, senza grandi problemi, il rumore cromatico, prodotto da pixel di colore differente. Ma eventuali pixel di diversa luminosità, risultanti dal disturbo di luminosità, possono essere corretti solo a costo di perdere parte dei dettagli.