Prematuramente mancato il 2 marzo 1973, Ugo Mulas è stato precursore di una visione forte della fotografia che interpreta l’arte. La sua bella stagione, dal 1954 al 1972, testimonia che il silenzio della fotografia grida ai confini della vita.

Ugo Mulas - Lucio Fontana (1964)
Ugo Mulas – Taglio di Lucio Fontana (1964).

A vedere d’infilata le immagini che Ugo Mulas ha preso della Milano degli anni Cinquanta non è difficile scorgere il superamento della visione concettuale o astratta, e cogliere l’importanza della fotografia come testimonianza storica e prolungamento di una disperata vitalità, che riferisce della propria infanzia. Le immagini del Bar Jamaica, l’uomo col carretto di notte, la donna che dorme alla Stazione Centrale, gli operai che vanno a lavoro nella strada ghiacciata… non raccontano soltanto l’accadere, ci calano nella vita dell’autore e restituiscono un’umanità differente, ma eguale nella speranza di far saltare i pubblici orologi sotto il cielo libero della storia.

L’iconografia di Ugo Mulas è andata oltre l’obiettività del possibile, le sue fotodocumentazioni raggelano la figura nell’azione, e una sola immagine può contenere un accadere in maniera complessa ed esaustiva.

Amiamo molto la fotografia di Ugo Mulas. In particolare, siamo attratti dai ritratti di artisti (Luciano Bianciardi, Piero Manzoni, Marcel Duchamp, Andy Warhol, Dick Bellamy, Lucio Fontana) e ci commuove la bellezza intima di alcune fotografie di siciliani, del 1963. Il fotoracconto del “taglio” di Lucio Fontana è di una forza descrittiva che ha pochi eguali nella comunicazione figurativa.

La ritrattistica delle Biennali di Venezia, dal 1954, è bella e partecipata, ma anche un po’ divertita. Lo sguardo del fotografo resta in superficie, a parte alcune immagini rubate nei caffè, la sera. La gioia esplosa del 1968 è in un’immagine mossa, straordinaria, di un pittore portato via dalla polizia.

I ritratti di Ugo Mulas sono destituiti dalla “regalità” più o meno pubblica e insegnano che ogni fotografia (come ogni scrittura) è tutta la lingua, e dentro vi si nasconde l’inconscio di chi “scrive”.